Tragedia Val d’Isère: Margot Simond, responsabilità nello sci agonistico
L’incidente mortale di Margot Simond a Val d’Isère riapre il dibattito sulla sicurezza nello sci agonistico. Analisi giuridica con l’avvocato Danilo Riccio: fino a dove arriva la responsabilità dell’atleta e quando scatta quella degli organizzatori?
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Margot Simond, una giovane vita spezzata sulla neve
Quando lo sport estremo incontra i limiti della responsabilità
La tragedia di Val d’Isère riaccende il dibattito sulla sicurezza nello sci agonistico: quanto pesano le scelte dell’atleta e quanto quelle degli organizzatori? Un’analisi tra diritto, sport e coscienza collettiva.
Val d’Isère (Francia) – Aprile 2025. Una giornata di allenamento si è trasformata in tragedia. Margot Simond, appena 18 anni, promessa dello sci alpino francese, ha perso la vita sulle nevi della Val d’Isère, durante le prove non ufficiali del Red Bull Alpine Park. Un tracciato spettacolare, pensato per esaltare tecnica e adrenalina, ma rivelatosi fatale per la giovane campionessa.
Mentre l’organizzazione annullava l’intera manifestazione in segno di rispetto, la comunità sportiva e legale iniziava a farsi domande che, in realtà, non sono nuove:
in uno sport ad alto rischio, dove si ferma la responsabilità dell’atleta e dove comincia quella di chi organizza?
Le dinamiche dell’incidente
Secondo le prime ricostruzioni, Margot stava affrontando un tratto particolarmente tecnico del percorso, caratterizzato da curve strette e salti ad alta velocità. La caduta, rovinosa e improvvisa, non le ha lasciato scampo. I soccorsi sono intervenuti rapidamente, ma le ferite riportate si sono rivelate incompatibili con la sopravvivenza.
Gli organizzatori, Red Bull in testa, hanno espresso cordoglio ma anche chiusura, in attesa delle indagini. E proprio sulle indagini si concentrano ora le attenzioni, in particolare sulla valutazione del rischio, sulla tracciatura del percorso, e sulla gestione della sicurezza in allenamento, spesso meno regolamentata rispetto alla gara vera e propria.
La zona grigia delle responsabilità
Nel mondo degli sport estremi, e dello sci alpino in particolare, vige un principio tanto semplice quanto ambiguo: chi partecipa conosce i rischi. Ma questo può bastare a esonerare completamente gli organizzatori da responsabilità?
La giurisprudenza non è univoca, ma tendenzialmente richiede un livello molto elevato di diligenza da parte di chi allestisce competizioni, anche amatoriali o dimostrative. Ed è su questo punto che si è concentrata la nostra intervista con un esperto d’eccezione.
BOX DI APPROFONDIMENTO
Intervista a Danilo Riccio, avvocato penalista e sciatore esperto, anche di sicurezza sulle piste da sci.
AVV. RICCIO, SECONDO IL NOSTRO ORDINAMENTO GIURIDICO, QUALI POSSONO ESSERE LE RESPONSABILITA’ D’UN ATLETA DI SCI ALPINO IN CASO DI INCIDENTE MORTALE, COME ACCADUTO NELLA TRAGEDIA DI VAL D’ISERE LA MATTINA DEL 24 APRILE 2025 NEL CORSO DI UN ALLENAMENTO?
«Inizierei a rispondere con il Manzoni, evocando che l’occasione della morte della promessa dello sci alpino francese sia finita per mutare un “Addio ai monti” in dramma. Non solo perché svola una giovane atleta, ricorderei la nostra giovane atleta Matilde Lorenzi, ma ancor più perché si arrotondano tutte le angolazioni d’una vita appena colta nel suo schiudersi, quasi fosse passerotto strappato al suo nido. Direbbe Erri De Luca, scrittore e alpinista, il tempo della malora è finito in montagna, io adiuvando, il declino della libertà in un lampo in forma fissa. Come sempre, la letteratura, anche questa volta, è sopravvissuta in un clima simile, quello del lutto, denso di elaborazione psicoanalitica a venire. Ma volgiamo alla sua domanda, e passiamo ai fatti. Lo sci alpino, sotto il profilo del rischio, si aggrega agli sport più pericolosi per antonomasia, ovverosia, solo per citarne alcuni, il motociclismo e la Formula 1. Ma cos’è il rischio? Il rischio è, da un punto di vista tecnico, la probabilità che si verifichi un evento indesiderato. Quanto più grande è la probabilità e quanto più è indesiderato l’evento, maggiore è il rischio. E l’atleta, spezza la concatenazione degli eventi indesiderati con il “coraggio”, che non è mai e non deve mai essere improvvisazione, ma forma mentis e corporis. Solo così l’affluenza di solide certezze, che tramutano in fluide prestazioni, può accompagnare la chiarezza degli esiti certi “prevedibili”. Proverei a far dire in questa sede a Georg Simmel, sociologo e filosofo tedesco, che lo sciatore agonista pensa sempre di non poter sfuggire a un destino che non conosce, ma di cui si sente certo. Non passi, però, l’idea che l’atleta sia un avventuriero, tutt’altro. Il contingente che inghiotta una necessità non si appartiene all’atleta, qualsiasi sport egli pratichi, ancor più se a esposizione di alto rischio e pericolo. Questa idea contrasta nettamente con l’apprensione funzionale della razionalità che agisce sull’atleta, dal primo momento in cui le tibie spingono via l’atleta dal cancelletto di partenza, da monte a valle giù per i pendii del tracciato. Rischiare comporta che si varchi una soglia oltre la quale si entra in una sorta di “stato eccezionale” isolato, che non è e mai può essere lo stato spaziale e temporale del quotidiano. Ecco, allora, per evocare una immagine dostoevskiana, che l’atleta, come il “giocatore” descritto dall’epilettico russo, associa la sua esperienza nel rendersi “colosso in pista”, come il bronzo di Rodi, alla esperienza della trance, del sogno.
Quando ci interroghiamo sul rischio, dunque, ci muoviamo su piani di indagine distinti, benché strettamente collegati. Possiamo, all’uopo, considerare la distinzione tra rischio “reale”, “percepito” e “accettabile”.
Il rischio “reale” accede a questioni per così dire sostanziali, con altro dire, ma non per tutti in letteratura, oggettive. Si tratta, in concreto, di stimare i rischi connessi alle nuove scoperte scientifiche o a eventi naturali, penserei, per il caso che ci occupa, al clima e alle innumerevoli questioni relative alla nostra salute e alla nostra sicurezza. E, “sicurezza”, qui ed ora, è la parola cardine: una situazione rischiosa come quella di una gara o allenamento di sci alpino, agonistici o amatoriali che siano, infatti, comporta la possibilità che si verifichino eventi che potrebbero in varia misura danneggiarci e da cui dobbiamo difenderci.
Il rischio “percepito”, invece, riguarda la valutazione soggettiva del pericolo. Sia detto per chiarezza scientifica: le nostre assegnazioni c.d. spontanee di probabilità si discostano notevolmente dai valori di probabilità calcolati, creando inevitabilmente una rottura tra la teoria e l’intuizione, in subiecta materia, direi tra gli esperti e gli amatori.
Il rischio “accettabile”, infine, comporta problemi di metodo e di procedura, che riguardano il modo in cui prendiamo decisioni, anche pubbliche, in condizioni di incertezza. Muoviamo nell’alveo delle decisioni relative ai principi che devono ispirare le regole, le norme, le leggi, nonché le misure di prevenzione del rischio.
Il lettore, specialista o meno che sia, potrebbe chiedersi se la trilogia [in]nominata può essere trattata separatamente. Categoricamente, la risposta è negativa, perché la tipologia dei rischi in nomenclatura fa ecosistema e deve essere trattata “in cordata”, stabilizzandosi su equilibri precari e delicati, combinati insieme dalla “paura”, che è sempre selettiva e mai tollerante o inclusiva. Questa, costituisce un sentimento psicologico essenziale alla sopravvivenza, obiettivo primario della specie animale cui apparteniamo, come pure all’origine dei comportamenti che possiamo definire “irrazionali”, ove la razionalità qui tesa debba intendersi quale strumento “normativo” di interdizione o di perfezionamento delle nostre intuizioni, ma anche dei nostri istinti primari, quella che si chiama “intelligenza” del rischio.
Lo sciatore esperto, dunque, accetta il rischio connaturato alla rivelazione in concreto della performance agonistica, nell’ambito di operatività del principio di accettazione del rischio medesimo. Questo vale soprattutto in ambito professionistico, dove ogni scelta, dal tipo di attrezzatura alla decodificazione del tracciato, comporta consapevolezza innestata sul tronco delle proprie abilità, quasi fosse marza non più isolata. Tuttavia, ancorché non si voglia apparire troppo dogmatici, il principio di accettazione del rischio non va confuso con la negligenza, che costituisce una specifica forma di colpa, che si verifica quando non si agisce con la diligenza richiesta in una determinata circostanza, causando un danno ad altri. In definitiva, in capo alla sciatrice transalpina, ancorché non siano in nostro possesso elementi certi di valutazione in ordine alla esatta ricostruzione dell’evento mortale, non potrebbero ascriversi allo stato responsabilità, anche solo concorsuali (recte, con il gestore dell’area sciabile, il direttore della pista, l’allenatore, lo sci club di appartenenza, così come regolato dagli artt. 9, 10 e 15, del D. Lgs. n. 40/2021), tenuto conto che la velocità tenuta dalla sciatrice non può costituire fattore colposo in quanto asseritamente correlata all’uso appropriato della pista messa a disposizione per gli allenamenti. Si rammenti, comunque e solo per fare un esempio ricorrente di discussione, che in talune ipotesi, si addebita alla mancata apertura degli attacchi che fissano gli scarponi agli sci la responsabilità dell’evento dannoso. Nel caso degli agonisti, infatti, è notorio che gli stessi sono chiusi al massimo, ostinandoli ad aprirsi in caso di caduta, e impedendone lo sgancio immediato degli sci, in uno alla mitigazione dei danni venienti. Tanto compreso, tuttavia, l’atleta volontariamente decide di chiudere gli attacchi al massimo, aumentando il rischio di subire conseguenze dannose in caso di cadute. Siamo nuovamente ricascati nell’ambito di operatività del principio di “accettazione del rischio” da parte dell’atleta.»
E PER GLI ORGANIZZATORI?
«Devono garantire il massimo livello di sicurezza prevedibile. Dalla progettazione del percorso, all’adeguata protezione delle aree pericolose, fino all’organizzazione dei soccorsi. Se un pericolo è noto, o tecnicamente prevedibile, ignorarlo da parte degli organizzatori può configurare una responsabilità anche penale. Si rammenti che, seppur le piste da sci non possono classificarsi come strade pubbliche cui applicare la disciplina del Codice della Strada vigente, dunque, nell’ipotesi di evento mortale colposo, la disciplina di cui all’art. 589 bis, cod. pen., tuttavia, le fattispecie tipiche, e descrittive di atti e fatti penalmente rilevanti, si applicano regolarmente.»
IL TRACCIATO ERA SICURO?
«Questo lo stabiliranno le autorità, tanto è vero che la Procura di Albertville, nel dipartimento della Savoia, ha aperto un fascicolo contro ignoti per chiarire la dinamica del sinistro e definire ordini di responsabilità civili e penali. Ma vale una regola generale: più è spettacolare un percorso, più aumenta la responsabilità tecnica e giuridica dell’organizzazione. La spettacolarizzazione d’una gara non può prevalere sui livelli di sicurezza che devono essere garantiti agli atleti, di qui veicolando responsabilità ex artt. 2050 e 2043 del cod. civ., dovendosi sempre distinguere tra gara di sci quale attività pericolosa soltanto in ragione di chi la pratica (scilicet, art. 2043, cod. civ.) o attività intrinsecamente pericolosa (scilicet, art. 2050, cod. civ.). Con estrema approssimazione, possiamo ribadire che la giurisprudenza ha sempre manifestato una certa diffidenza nell’applicare l’art. 2050 cod. civ. ai danni patiti dagli atleti durante lo svolgimento di manifestazioni sportive, la cui organizzazione può sì comportare un pericolo se gli atleti sono minorenni, ma sempre con l’applicazione della responsabilità ex art. 2043 cod. civ., poiché ritiene che non si tratti comunque di un’attività intrinsecamente pericolosa. E questo in ragione del fatto che l’attività agonistica implica accettazione del rischio da parte degli atleti, cosicché l’organizzatore, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, deve solo aver predisposto le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi, nazionali o internazionali. Per ora è tutto, con il capo chino in segno di lutto: per oggi, tutte le piste e i comprensori idealmente chiusi … requiescat in pace.»
Una memoria da onorare
Margot Simond era considerata una delle più promettenti sciatrici della sua generazione. La sua morte potrebbe – e dovrebbe – rappresentare uno spartiacque. Perché lo sport rimanga passione, talento, sogno. Ma mai, mai fatalità evitabile.
Per approfondimenti su sicurezza e responsabilità in ambito sportivo e aziendale, visita la sezione Salute e Sicurezza di LDG Service.